La pietà di Cechov
Pubblicato in: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXX, fasc. 127, p. 3
Data: 29 maggio 1955
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Sto rileggendo tutti i racconti di Cechov e mi vado persuadendo sempre di più che in lui il narratore è più forte e perfetto dell'autore di teatro. Ma non basta conoscere, come avviene ai più, qualche scelta o antologia: bisogna leggerli tutti quanti, quei racconti, che nella traduzione italiana completa riempiono più di tremila pagine.
Sono centinaia di capitoli e migliaia di creature umane, di tutte le età, di tutte le condizioni, di tutte le classi e professioni, che rappresentano, nel loro insieme, ogni carattere, ogni natura, ogni destino dell'uomo. Cechov ha scritto anche lui, dopo Dante e Balzac, una specie di « Tragedia Umana », non tessuta in una tela unica, ma pur tuttavia dipintura intera della nostra vita, dalla farsa bestiale al dramma patetico e quasi mistico.
Cechov, come tutti gli scrittori russi dell'Ottocento, sente e manifesta una profonda pietà per la triste e dolorosa sorte degli uomini. Ma negli altri, più famosi di lui, questa pietà è sempre alterata da sentimenti e pensieri estranei e perfino opposti. In Dostoevskíj, ad esempio, la cosiddetta « religione della sofferenza umana » è troppo spesso congiunta con una sorta d'isteria masochista, cioè con quella frenesia di umiliazione, che ha del torbido, del morboso e perfino del perverso. Tn Tolstoj la misericordia, benchè quasi sempre sincera, è malamente mischiata alle tesi dottrinali di un moralismo dogmatico, predicatorio, duro. In Gorkij la compassione e la commozione per le miserie dei miserabili ha talvolta un sentore di risentimento, di collera e di rivolta.
In Cechov, invece, la pietà, una pietà cordiale e continua, è allo stato puro e spontaneo, naturale e genuino. E' una pietà universale, tenera e affettuosa, che si rivolge egualmente al bambino ricco e a quello povero, al mugik angariato e al nobile avvilito, all'impiegato maniaco e all'artista fallito, al vagabondo affamato e al mercante festaiolo, ai perseguitati dalla sventura e a coloro che, sembrano i favoriti della fortuna, ai deboli tormentati dall'infermità ed ai sani che soffrono per la prepotenza del sangue e per la stessa euforia della forza, alle donne sacrificate e battute, alle donne esose, viziose e stupide, peccatrici e infernali.
Cechov è un medico e un malato ed è anche un poeta e un uomo di cuore. Egli perciò si accorge che gli uomini sono infelici assai più che colpevoli; sono quasi tutti dei malati, degli infermi che non soffrono soltanto di malattie fisiche ma ancor più spesso di malattie spirituali e perciò nessuno è veramente responsabile del male che fa agli altri ed a se stesso. Questa nativa e costante disposizione di Cechov a compatire tutto e tutti, che non era dovuta a debolezza morale, ma ai sentimenti del cuore confermati dalle riflessioni della mente, contribuisce a creare quella atmosfera di malinconia serena e d'indulgenza fraterna, che si ritrova in tutti i suoi racconti, anche in quelli che sembrano semplici divertimenti burleschi. Gli uomini, per Cechov, non sono delinquenti, ma dementi; non sono malvagi, ma intossicati; non si possono distinguere in buoni o cattivi, ma soltanto in grandi infelici e ivi mediocri disgraziati, in maniaci ridicoli e in alienati tragici.
Tutti quanti, dunque, meritano la nostra pietà, nessuno la nostra condanna. Cechov, come malato e medico, li comprende e perciò li compatisce e siccome li compatisce, li assolve tutti e tutti li ama. A volte accompagna la pietà con un sorriso che non è mai maligno; altre volte si sente in lui un certo tremore della voce, ma che non diventa mai sentimentaleria deliquescente. Cechov non fa mai frasi pretenziose, teorie pedantesche, predicazioni intempestive, tirate d'effetto, sfoghi rivoluzionari, commenti psicologici o filosofici. La sua umana e, direi, cristiana pietà verso tutti i viventi si palesa nel modo di presentare i suoi personaggi e di raccontare le loro vicende e proprio in questa purezza umile e semplice della sua misericordiosa comprensione consiste la vera superiorità di Cechov.
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